Schermata 2020-05-30 alle 12.19.51

Finita la quarantena vi abbiamo promesso una raccolta piena delle vostre idee. Ecco gli elaborati, sketch e quant’altro che ci avete inviato durante la prima fase di quarantena..sentirci più vicini era il nostro obiettivo e ci siamo riusciti. Leggeteli tutti, ognuno ha il suo perché. Prima però un doveroso grazie va alle due ragazze che hanno organizzato il tutto. Grazie Maristella Melito e Isabella Urciuoli per questa magnifica idea. 

Anonimo, anni 24

Sono già due sere che i lampioni sulla strada del mio quartiere sono spenti, mi affaccio alla finestra e vedo il nulla, c’è un’atmosfera malinconica là fuori. L’asfalto bagnato s’intravede grazie alla luce dell’insegna del negozio di fronte, asfalto bagnato da quella pioggia che se ne sta sola là fuori con l’unico scopo di dissetare la natura che mai come in questo periodo vive felice. Vedo il buio, per la strada a passeggiare c’è solo la tristezza e la paura che si tengono per mano e ballano nel silenzio… Quel silenzio che dentro casa mi parla di attesa, di avere pazienza e che presto dalla mia finestra rivedrò la vita correre sorridendo!

Dalla mia finestra, via Cardito 00:25 Venerdì 27-03-2020

 

Fabio Dell’Infante, anni 24
Chi si sarebbe mai aspettato una Pasqua del genere?

Molto strana, veloce, non come le solite. Inusuale. Parliamoci chiaro, noi del Sud queste feste le amiamo, mega riunioni di famiglia. Tavolate che vanno dalle 40 alle 50 persone. Manco fossimo ad un matrimonio.

Si inizia con un antipasto (salumi, formaggi, mozzarelle, io sarei già apposto così). Cominciano i primi sorsi di vino paesano. Lasagne, cannelloni che passano sotto il naso. Le varie tipologie di agnello che fanno da sfondo ai primi zii brilli. Tra le risate e i soliti discorsi, si sopraggiunge ai contorni e finalmente ai dolci (pastiere salate, dolci, uova di Pasqua, colombe). Quasi uno strazio per lo stomaco. Non dimentichiamo le poesie dei nipotini, contenti di aver ricevuto cioccolata a non finire. Beh, insomma, una giornata niente male.

Ma questo è niente paragonato al giorno seguente. La Pasquetta. Ci è stato tolto il diritto di organizzarci il giorno prima. Il diritto di creare gruppi WhatsApp, in cui non si fa altro che prendere in giro vegetariani e vegani. La Pasquetta per noi è sacra. A Pasqua ritroviamo la nostra prima famiglia; a Pasquetta la seconda. Ogni anno, il luogo è sconosciuto fino alle 8:30 del giorno stesso. Alle 9:00 partiva la spesa. I veterani, prevedendo la situazione, avevano già acquistato carne, ma, soprattutto, litri di birra per 30 persone. Dopo aver preparato gli spazi, verso le 11:30, arrivavano i primi componenti. Si iniziavano ad aprire le prime birre e ad impostare il barbecue, o meglio, la “fornacella”. Quello che succedeva da lì alla sera non si può spiegare. L’unica certezza è che non c’è persona che abbia tenuto conto delle birrebevute (provare per credere!).

Dove voglio arrivare?

Beh, il COVID-19, questo virus bestiale, ci ha tolto tutto questo. Ci ha tolto la sacralità di questi momenti e, a molti, non solo questo. Il mio pensiero va a tutte le persone che hanno perso qualcuno di caro. Alle tante persone che lottano in prima linea, i medici, i sanitari, tutto il personale occupato nei supermercati, il personale della protezione civile, poliziotti e, perché no, anche i politici che hanno l’arduocompito di prendere decisioni per più di 50 milioni di persone.

Soprattutto oggi abbracciamo più forte le persone che ci sono accanto, facciamoci forza l’un l’altro. Inviamo quel messaggio che non vogliamo mandare per timore dell’altro, facciamo una telefonata ai nostri nonni… Hanno bisogno di compagnia, sono loro le persone più indifese in questo momento di sofferenza. Insomma, vogliamoci bene, perché anche così si vince la quarantena. La quarantena sì, questo periodo di segregazione e di osservazione, al quale veniamo sottoposti. Credo che porterà molti problemi a livello sociale… E se con una chiamata, un messaggio, potremmo far sì che non avvenga, ben venga, facciamolo… Cosa ci costa? Non pensiamo, però, solo agli altri, pensiamo anche a noi stessi. Abbiamo molto tempo: scaviamoci a fondo, cerchiamo di capirci meglio. In una vita affannata e veloce come quella odierna, credo, non avremo mai tutto questo tempo libero a disposizione.

Io. Io non me la sarei mai aspettata una Pasqua del genere. E mi fa male. Come fa male a tutti noi.

#andràtuttobene non è solo un hashtag. È un luogo dove viene racchiusa la speranza comune. Mettiamo in quarantena la solitudine e i pensieri negativi e diamo spazio alla speranza.

 

Iole Ionno, anni 20
Tu sei l’umanità e io la natura

13,7 miliardi di anni fa si dice abbia avuto luogo il Big Bang, un’esplosione dalla quale si è originato l’intero universo con i suoi miliardi di galassie. Altri sostengono che Dio, l’essere primo e infinito di questo universo abbia generato tutto ciò che esiste in soli 6 giorni, a partire dalla creazione di cielo e terra, per finire con quella degli animali terrestri e degli esseri umani. Tralasciando quale sia la verità, quale sia l’arcano che si nasconde dietro l’atto di creazione e di nascita del cosmo, è a partire da quel momento che nasce il rapporto tra Natura e Umanità.

Umanità è seconda a Natura, che ha accolto la prima come una madre, prendendosene sempre cura, conducendola verso la giusta via quando le sembrava di essersi persa, procurandole tutto ciò di cui aveva bisogno per mangiare, per vivere, per proteggersi, per riscaldarsi. Tutto ciò è durato fin quando Umanità ha cominciato a cercare la propria indipendenza, la propria autonomia. Ciò che aveva non le sembrava più abbastanza. Voleva cercare altrove, scoprire e scoprirsi, svelare e rivelarsi. Natura le cominciò a sembrare opprimente, a volte anche punitiva, con le sue stragi ambientali, come gli tsunami, i terremoti, le tempeste. Dunque, per quanto Umanità avesse tentato di far di Natura il proprio nido, provava verso essa un forte senso di paura e di incertezza perché anche quando le sembrava di conoscerla, in realtà scopriva esservi dietro un mistero. Umanità aveva bisogno di cominciare a farsi da sé, di trovare delle strategie e delle tecniche che gli permettessero di difendersi da ciò che la spaventava maggiormente di Natura o forse, essa non cercava di fare nient’altro che trovare un riscatto dalla sua Antica Madre, ovvero una via di fuga attraverso la quale mostrare di poter essere insuperabile e non superata.

Per quanto paradossale possa essere, affinché Umanità potesse riscattarsi nei confronti di Natura, poteva farlo soltanto servendosi di essa e delle sue infinite risorse. Fu così che gli elementi che facevano sì che Natura fosse tale divennero strumenti di Umanità, che grazie a Ragione, suo compagno fedele, riuscì a dar vita a ciò che non era frutto di un originario atto di generazione, ma di uno successivo, che avrebbe cambiato per sempre la storia dell’universo. E’ assolutamente in questo modo che ebbe origine Progresso. Egli era figlio di Umanità e Ragione ed era venuto al mondo per aiutarla a procedere, a porgersi in avanti, a superare ciò che stava affrontando. Esso facilitò di molto la vita di Umanità, rendendola più dinamica, più intensa, apparentemente più semplice.

C’era bisogno della luce? Bisognava procurarsi una fiaccola, adesso basta un interruttore o una torcia.

C’era bisogno di scrivere una lettera? Ci si serviva di una pergamena, sulla quale scrivere con pennino e calamaio, adesso basta un computer, attraverso cui con un semplice click c’è la possibilità di comunicare un messaggio.

C’era bisogno di mangiare o di bere? Bisognava cercare alberi da frutto, animali da cacciare e acque che fossero il più vicino possibili, adesso basta recarsi in un supermercato.

Progresso sembrava aver mandato avanti le cose più di quanto avesse fatto Natura. Grazie ad esso, Umanità non soltanto trovò il suo riscatto, ma cominciò a pensare di potersi sostituire a Natura e di poter fare addirittura di meglio di quanto essa avesse fatto fino ad allora. Così, Umanità cominciò a fare, fare, fare, senza darsi più un attimo di tregua, correndo e non fermandosi mai, provando a superare anche l’insuperabile, anche quelli che Natura aveva posto come limiti.

Fu esattamente in quel momento che Natura, rivolgendosi a Umanità disse: «Io non mi prenderò più cura di te». Fu in quel momento che Natura cominciò a sentire la morte incombere, perché tutto ciò che la rendeva tale era stato trasformato, o meglio trasfigurato da Umanità, fino a perdere la sua ragion d’essere.

Quella Natura che aveva spaventato Umanità si era trasformata da madre a matrigna, per potersi riappropriare di ciò che gli era stato tolto come atto di pura filantropia, per poter tornare a donarci lo stupore, la bellezza, la magia, l’antichità, per portarci finalmente a volgere gli occhi a ciò che sembra essere solito e invece è soltanto ciò che non abbiamo mai davvero osservato.

Il male, la sofferenza, l’intolleranza, per far sì che Umanità abbandoni i suoi primitivi egoismi, quelli che hanno fatto crollare il mondo pezzo a pezzo, esattamente come un domino, al fine di ricostruirsi, di ricomporsi, con pezzi nuovi, pezzi rigenerati.

In questo modo, Natura non tentò di fare nient’altro che riacquisire l’antica stretta di mano con Umanità, con la promessa di farsi conoscere, di farsi Madre, di farsi luce e non tenebra.

 

Valentina Di Falco, anni 22

Mi perdo nell’immenso dei miei pensieri.

Mi affaccio sul balcone, il cielo è azzurro e il sole risplende alto nel cielo. L’aria è pulita come mai prima d’ora e si respira primavera, anche se le strade sono deserte. E non si sentono risate di bambini, o chiacchiere tra passanti, o il rumore di macchine che si affollano in coda l’una dopo l’altra.

Accade che un giorno, d’improvviso, il mondo si ferma e ti schiaccia, sotto un peso difficile da sopportare.

Impreparata mi ritrovo, lontana dalla mia casa, dal mio paese, dalla mia famiglia.

E mi manca tutto ciò che mai avevo apprezzato: l’odore di pasta al forno la domenica, mia madre che mi dice di riordinare la camera, litigare con mia sorella su quali vestiti indossare, mio padre e i discorsi interminabili sull’ambiente, il mio cane che abbaia contro un nulla non ben identificato. Ci sono piccoli dettagli, che balenano nella mia mente, come flash-back di una vita che mi sembra di non poter più stringere tra le mani.

Mi sento fragile, come una farfalla e custodisco nella mia anima tutte le parole che non riesco a pronunciare, le lacrime che non riesco a versare.

Ci sono un sacco di cose che avrei voluto fare, posti che avrei visitato, luoghi di cui mi sarei innamorata, strade che avrei percorso, persone da incontrare, sorrisi da regalare.

Ci sono un sacco di speranze, sogni, desideri che mi opprimono il cuore e affollano la mente.

Tutto adesso è in pausa, cristallizzato in una bolla di paura e incertezza.

Mai avevo riflettuto su quanto la certezza di avere un futuro, possa farci vivere così pienamente il presente. La verità è che ho sempre detto di vivere alla giornata, di non avere programmi per il futuro o aspettative. In realtà, solo adesso, obbligata in questa situazione, mi rendo conto di quanto abbia mentito a me stessa per tutto questo tempo. La mia vita è proiettata verso il futuro, la mia testa è piena di progetti, il mio cuore è pieno di desideri, gli occhi pieni di sogni.

Bloccata in una situazione in cui niente di tutto questo ha senso, il pavimento crolla sotto i miei piedi e la terra trema e tutto sembra frammentarsi in minuscoli pezzi, di fronte alle mie mani, impotenti nel rimetterli in ordine.

Non sapere cosa succederà domani, non avere la possibilità di programmare nulla, se non in momenti di utopica fantasia, mi fa sentire come se tutto perdesse di senso.

A volte mi sveglio la mattina, per condurre l’ennesimo giorno uguale a quello precedente e vedo solo nero. Non mi era mai capitato di svegliarmi

con il nero: di solito cerco di vedere i colori, la bellezza che mi circonda, invece ora tutto sembra più difficile, più pesante, più complesso.

A volte, invece, mi sveglio come se tutto fosse normale e mi perdo nella routine fatta di dettagli e inizio a viaggiare lontano, a pensare a tutto ciò che farò dopo.

Voglio viaggiare, voglio scoprire il mondo, voglio perdermi in profumi di culture che non conosco e ritornare a casa, per immergermi in quelli che invece hanno formato la mia vita. Voglio laurearmi, finire gli esami, non avere più l’ansia di ciò che succederà nel futuro. Voglio abbracciare mia sorella, portare a spasso il mio cane, sorridere a mia madre o dire a mio padre che gli voglio bene.

Voglio ritornare a passeggiare per strada, senza lamentarmi del lungo tragitto fatto, ma con il desiderio di percorrere ancora più chilometri e stancarmi, sotto il sole caldo, con il vento che mi scompiglia i capelli e l’aria pulita che mi riempie i polmoni.

Voglio sentire il calore di mani che mi stringono e labbra che mi baciano, senza paura del contagio.

Poi

la realtà mi piomba addosso, come un peso che sto portando, ma che non so per quanto riuscirò a mantenere e mi sento come un uccello in gabbia. Batto le ali freneticamente, provo ad uscire, ma intorno a me è il vuoto. Cerco invano una libertà che mi è preclusa, a data da destinarsi.

E l’unica speranza che mi resta è che tutto questo finisca presto, o che almeno finisca.

Che la vita ricominci a scorrere e che le strade si riempiano di persone, e che il sole splenda alto in un cielo, che finalmente osserviamo, liberi. Che la quotidianità smetta di essere una lotta alla sopravvivenza o una prova di resistenza contro tracolli emotivi e malumori costanti, ma un’opportunità consapevole per essere felici.

Mi piace pensare che presto tutto ritornerà, un tassello dopo l’altro, in ordine.

Mi piace pensare che la vita non è finita, e che le pause ci sono, e che a volte siamo forzati in situazioni che mai avremo creduto possibili, ma alla fine, inevitabilmente la vita continua.

Più forte di ogni pandemia.

 

Carole Macchione, anni 27
Siena, 11 aprile 2020

Se ci avessero dato la possibilità, due mesi fa, di scegliere dove e con chi trascorrere questi giorni, probabilmente nessuno avrebbe scelto di trascorrerli da solo.

C’è chi avrebbe scelto la famiglia, chi il partner, chi un amico. Ma c’è chi, per strane coincidenze o per scelte ponderate, oggi si ritrova a convivere, da mesi, con sé stesso, anche se non lo avrebbe mai istintivamente scelto. I più fortunati tra questi si ritrovano in una casa suddivisa in più ambienti, magari con un giardino o una terrazza. Altri, invece, si sono ritrovati in un piccolo spazio, in uno spazio in cui i fornelli della cucina, sono distanziati dal letto solo da un frigorifero. E di quello spazio oggi ne fanno uno scrigno.

Quello spazio, il mio spazio, da luogo di rabbia e malinconia è diventato, oggi, luogo di gratitudine e riflessione.

Pensavo che per una come me, non amante della vita mondana, di luoghi eccessivamente affollati e sempre attenta nello scegliere con cura le persone con cui condividere il tempo, non sarebbe stato poi così difficile.

Ho trascorso così i primi giorni convincendomi che quel tempo, quello spazio, erano quasi quello che mi ci voleva. Certo, avrei preferito regalarmeli, quel tempo e quello spazio, piuttosto che essere costretta a subirne gli effetti a causa di un virus. Un virus che, se a me stava togliendo solo la possibilità di respirare aria fresca e condividere un pasto in compagnia, a qualcuno stava togliendo frettolosamente la vita. Conseguentemente, ad altri stava togliendo, in modo straziante e improvviso, gli affetti più cari. Immagino i sensi di colpa di figli, nipoti, mariti e mogli che si rimproverano per non aver avuto modo di regalare alla persona amata un saluto degno della loro vita.

Io, di quel triste monolocale, che iniziava a starmi stretto, dovevo solo gioirne.

Per giorni ho cercato di riempire la mia agenda di tanti piccoli obiettivi. Alcuni legati ai miei studi/lavoro, altri al mio benessere, altri ancora alle mie passioni.

Tuttavia, a fine giornata, quando quei piccoli task quotidiani non li avevo portati a termine, venivo solo assalita da un grande senso di colpa che alimentava in me un forte senso di frustrazione. Tutte attività che avrei serenamente svolto in tempi normali, oggi mi sembravano impossibili. Più pensavo a cosa fare, meno mi sentivo in grado di farlo. E così, ho dovuto fermarmi.

Ho avvertito il bisogno di sentirmi libera di non far nulla senza necessariamente sentirmi in colpa. E da quel momento, ho capito il valore di quei giorni. Questo tempo, per quanto assurdo, non mi verrà restituito quando tutto questo sarà finito.

Credo che la parte più difficile non siano la solitudine, le mancanze, le varie privazioni – per quanto ingombranti – quanto combattere con i fantasmi che ognuno si porta dentro. Oggi, possiamo scegliere di dar loro il benvenuto, conoscerli e conviverci o permettere che si prendano il bello.

Dopo anni di corse affannate in cerca del raggiungimento dei miei obiettivi, dopo aver riempito la vita di piccoli, ma importanti traguardi, dovevo fermarmi. Negli ultimi tempi non avevo fatto altro che progettare gran parte della mia vita per fare “tutto in tempo”, come si suol dire. Ma in tempo per cosa? In tempo per arrivare dove?

Non c’è nessun rimpianto nelle mie parole. Sono certa che rifarei esattamente la stessa identica strada, ma oggi non posso non pensare che quelle scelte mi hanno portato, forse per sempre, lontano dall’unico posto al mondo che sarà sempre casa. Oggi, più che mai.

Ne vivo le sofferenze, ne apprezzo la solidarietà e ne faccio oggetto delle mie più grandi nostalgie. Se avessi potuto scegliere, avrei scelto di essere esattamente lì e dimostrarti che, se anche anni fa ho deciso di lasciarti, sono una piccola parte di te.

Se è vero che i luoghi sono momenti, persone, esperienze, odori e colori,

tu per me certamente sei tutto questo insieme
Sei il paese in cui ho conosciuto l’amore.Sei quello in cui l’ho perso.
Sei il base delle amicizie.Quelle che avevo e che ho.
Sei il paese in cui ho conosciuto vittorie e sconfitte  ed è grazie a quelle, o a causa di quelle, che sono andata via.
Sei il paese in cui per anni ho coltivato la mia fede, come se poi esistesse un luogo fisico per farlo.

Sei il paese dei miei errori e quello in cui torno per cercare di rimediarli.
Sei il paese in cui ho dovuto dire addio a persone care capendo, sin da bambina, il vuoto che lascia chi se ne va.
Sei il posto delle abitudini e, forse, per questo, a me fidato. Per me sei certezza e stabilità.
Sei luogo dei respiri calmi, del vento e degli odori dell’estate.
Sei, e non potresti essere altrimenti, le mura di una casa, sempre la stessa. Quella in cui io resto sempre bambina perché, convincersi che io sia cresciuta, rende tutti più tristi. Quella in
cui oggi avrei scelto di essere.

Nell’attesa di raggiungerti, io conservo e porto con me il nostro legame, nonostante la mancanza, nonostante l’assenza. È l’unico modo che conosco per essere riconoscente al luogo che ha contribuito a rendermi la persona che sono. Ed io, Ariano, ti sono grata.

Gaia Caruso, anni 21

Vera libertà

Nel presente sbiadito Chiusi in una casa di luci: Spenti.

prendiamo respiro da ricordi ormai solitari
Viviamo struggendoci nel passato
Gli chiediamo di tornare
Di inverare un presente assente di presenze
Di tramonti mancati

Di sentimenti virtuali
Posticipati nel ricordo di ciò che eravamo.

Proiettati in un futuro di memoria,
Pronti ad erigere altari per commemorare il sacrificio di sé stessi.

Nessun altare.
Nessuna casa sarà segno di vanificazione della propria esistenza; nessuna casa sarà mai troppo stretta
perché, chiusi in essa,
stiamo mirabilmente spendendo la nostra libertà:
Eccola!
A servizio degli altri!

Maristella Melito, anni 21 Arezzo, 05-04-2020

Schermata 2020-05-30 alle 12.19.51

Anonimo, anni 23

La fine del mondo del bruco in realtà è la nascita di una bellissima farfalla.

Rinasceremo.

Schermata 2020-05-30 alle 12.20.25
Anonimo, anni 22

Non c’è più amore mancato di dover respingere un abbraccio di mia nonna, di doverla allontanare distanziandola con le braccia.

Non c’è più amore mancato nel vedere quegli occhi riempirsi di lacrime, per tutto questo dolore, ma anche per la gioia di poterla rivedere, ormai, dopo più di due mesi.

Non c’è più amore mancato di non poter dare amore a chi, di amore, ne ha fortemente bisogno, perché un abbraccio ormai è divenuto la rappresentazione concreta dell’amore.

Non c’è più amore mancato di non poter sentirsi più al sicuro con la persona che ami, perché ogni cosa ti fa rabbrividire, ti trasmette paura, angoscia.

Non c’è più amore mancato di non avere più la libertà di vivere un momento con la spensieratezza dei propri vent’anni.

Non c’è più amore mancato di non poter guardarsi negli occhi perché c’è una distanza che ci separa e dei chilometri che non si possono percorrere.

Non c’è più amore mancato di un medico che non può tornare a casa ad abbracciare i propri figli, dopo un turno stremante di lavoro.

Non c’è più amore mancato di non poter dire addio ad una persona cara che non ha vinto contro questo virus.

Non c’è più amore mancato della vita che ci è stata tolta e della vita che nessuno ci restituirà.

Non c’è più amore mancato di dover tristamente chiudere la serranda del proprio negozio, perché ormai la produttività è pari a 0.

Non c’è più amore mancato di dover dire basta alla speranza, di dover aprire gli occhi e di prendere consapevolezza che tutto è cambiato, che la normalità adesso è più che lontana.

Non c’è più amore mancato di chi ha fame e sete di vita, ma non ce la fa perché malato oncologico.

Si potrebbe continuare all’infinito per raccontare quanto amore è stato strappato su questa Terra, in maniera così cruda e repentina che a volte stento a credere che tutto ciò non sia solo un brutto sogno.

Credo che le mie emozioni, le mie paure ed ansie, siano ad oggi comuni a tutti, perché non c’è amore più grande dell’amore alla vita e non c’è cosa più bella ad oggi di immaginare il giorno in cui tutto ciò sarà finito, quando finalmente ci sarà un vaccino, quando finalmente potremo tornare ad abbracciarci più forti di prima. Ci sono stati momenti in cui la desolazione e l’angoscia prendevano il sopravvento su tutto, ma riuscivo ad alzarmi grazie alla forza di chi mi sta accanto. Solo insieme potremo riprenderci in mano la nostra vita, un passo alla volta, un gradino alla volta, uniti, riusciremo a raggiungere il nostro trofeo. Potremo ricominciare a rivivere questo nostro caro dono che è la vita.